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Alessio Bidoli interpreta Saint-Saëns nel suo quarto CD con Bruno Canino

di Luca Segalla

I percorsi musicali del trentaduenne violinista milanese Alessio Bidoli sono decisamente insoliti, sia per la scelta di dedicarsi a repertori poco frequentati sia per l’avversione dichiarata verso lo «star system». Bidoli è un musicista dal carattere deciso e con una grande forza di volontà, che è stato in grado di riprendere il concertismo, all’inizio del 2011, dopo una lunga pausa causata da una rara malattia responsabile della paralisi progressiva dei nervi. Un incubo durato due anni, duranti i quali ha dovuto riapprendere, passo dopo passo, prima gli automatismi necessari a compiere i gesti quotidiani quindi la tecnica del suo strumento. Anche la collaborazione con un pianista onnivoro e lontano da ogni vezzo divistico come Bruno Canino - tra loro ci sono ben due generazioni di differenza - si colloca in questa prospettiva. I primi CD di questo sodalizio sono stati pubblicati dall’etichetta Sony Classical, un’antologia dedicata a Verdi nel 2013 e nel 2016 un’antologia dedicata al Novecento italiano, con interessanti rarità di Malipiero, Casella e Petrassi. Nel 2017 è uscito un CD per Warner Classics dal taglio più tradizionale, con pagine di Poulenc, Ravel, Stravinskij e Prokofiev, mentre è appena stato pubblicato il quarto CD, sempre per la Warner, interamente dedicato a Camille Saint-Saëns. Alle due Sonate per violino e pianoforte conosciute (l’op.75 e l’op.102) affianca l’incompiuta Sonata in Fa Maggiore composta a 15 anni e la minuscola Sonata in Si bemolle Maggiore del 1842, presentata in prima registrazione mondiale. Ultimata, come si legge sul manoscritto, l’8 gennaio del 1842, quando il piccolo Camille aveva appena sei anni, questa Sonata è una paginetta che inizia compita e sussiegosa come una Sonata del Settecento, prosegue con un’Andante salottiero e si conclude con un gustosissimo Galop presago dei rapinosi movimenti veloci della maturità del compositore. Completano il CD l’Introduzione e Rondò capriccioso in La minore op.28 e il Capriccio composto dal violinista Eugène Ysaÿe sullo Studio in forma di valzer op.52 n.6 di Saint-Saëns. La nostra intervista parte proprio da questa registrazione.

Come è nata l’idea di un CD dedicato a Saint-Saëns?

«Da un lavoro di ricerca, come per tutti i miei dischi, che ci ha portato a trovare i manoscritti di due Sonate non ancora pubblicate».

Oggi il lavoro dell’interprete è quindi diventato anche un lavoro di ricerca musicologica?

«A quanto pare sì, perché hanno successo le monografie ed i programmi inediti. Del resto i dischi vendono sempre meno e con l’ennesima registrazione della Sonata "a Kreutzer" è più difficile incuriosire il pubblico rispetto a un CD di pagine rare se non addirittura in prima registrazione mondiale. Poi c’è ancora chi vuole sfidare i massimi violinisti del passato e forse ci riesce, ma io preferisco seguire altre strade, anche per una questione di attitudini: per esempio, per come sono fatto io, non oserei registrare al giorno d’oggi delle Sonate antiche, anche se mi piacerebbe tantissimo, ma ormai la causa del repertorio antico è stata vinta dai filologi».

Secondo lei per quale motivo Saint-Saëns, dopo la sua innocente Sonata infantile e la Sonata in Fa Maggiore lasciata incompiuta 15 anni, è tornato al genere della Sonata per violino e pianoforte solo all’età di 50 anni? Trentacinque anni di distanza sono molti...

«Saint-Saëns era un grande organista e un grande virtuoso con molti impegni, e questa può essere una ragione. D’altro canto è anche vero che si è dedicato assiduamente alla musica da camera, penso ai due Trii, che sono molto belli. Come lei sa, però, Saint-Saëns non riservava tutto il suo tempo alla musica, perché aveva una vasta cultura e coltivava molti interessi, per esempio si occupava di astronomia e geologia e collezionava farfalle, come secondo me dovrebbe sempre essere per un musicista. Oggi invece la cultura è segmentata, si ha l’obbligo di essere degli esecutori di altissimo livello e poi magari non si è mai visto un film di Truffaut. Un uomo, per suonare bene, oltre alla tecnica deve avere una cultura alle spalle che lo sorregga, perché è l’uomo che suona sul palcoscenico. Altrimenti sul palcoscenico c’è soltanto uno strumentista».

Negli ultimi venti/trent’anni la musica di Saint-Saëns è stata molto rivalutata, anche in sede discografica, e questo è sicuramente positivo…

«Saint-Saëns è stato sempre considerato un compositore di serie B, in realtà sapeva assorbire con grande facilità influssi di ogni genere, da Brahms fino all’esotico, come rivela per esempio il Rondò capriccioso. Alcuni dei suoi temi sembrano rimandare a quella che potremmo definire "musica di arredamento", però a mio avviso la sua musica è una sorta di ghiaccio bollente, perché sotto la superficie c’è una notevole perizia armonica e contrappuntistica».

In effetti ascoltandolo si avvertono questa ampiezza di vedute e questa vitalità…

«Certo, basta pensare alla brillantezza dei Concerti per pianoforte e al Concerto per violoncello, che hanno una scrittura strumentale molto idiomatica, perché Saint-Saëns era un compositore che conosceva bene gli strumenti».

Veniamo al suo percorso di formazione. Immagino che sia cresciuto in mezzo alla musica, visto che suo nonno era il celebre liutaio Dante Regazzoni, di cui suona uno strumento…

«Sono cresciuto in mezzo al profumo delle vernici e al rumore delle sgorbie e mio nonno ha lasciato una cospicua eredità di violini, che io alterno a seconda delle necessità. Non sono però figlio d’arte, visto che i miei genitori non sono musicisti».

Quali sono gli insegnanti a cui deve di più?

«Il mio insegnante più importante, dopo aver ripreso a suonare, è stato lo specchio. Nel corso di tutto il mio percorso musicale, invece, sicuramente Pierre Amoyal».

E la sua collaborazione con Bruno Canino? Avete in programma nuovi CD?

«Stiamo valutando un nuovo progetto discografico per il 2019/2020, anche se preferisco non anticipare nulla. Quando dovevo registrare il disco verdiano, che adesso sarà ripubblicato, ho avuto l’occasione di farmi sentire e così è iniziata la nostra collaborazione: in modo molto semplice e diretto perché con il maestro Canino si ragiona senza sovrastrutture, come con tutti grandi artisti. Preferisco suonare con lui piuttosto che molti dei miei giovani colleghi arroganti e presuntuosi, chiusi nel loro microcosmo egocentrico. Magari hanno vinto dei concorsi internazionali, io però ho vinto un concorso molto più importante, il concorso della mia vita quando ho ripreso a suonare. A contare, alla fine, non sono le vittorie nei concorsi, è il giudizio del pubblico. Conta la musica e dovremmo tornare a capire il valore dalla musica in sé, a prescindere dalla coreografia che le sta intorno. Noi facciamo musica, non facciamo moda né spettacolo. Dare alla musica classica una veste che sia sempre "à la page" è una forzatura».

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