Il Cammino di Santiago: un viaggio musicale individuale e collettivo

Da Omero a Buñuel, passando per Dante e Milton, il viaggio mistico è un topos tra i più fecondi dell’intera cultura del pianeta. Che si ascenda, come Francesco Petrarca o Richard Strauss, o si discenda, come lo Zarathustra nietzschiano, che si desideri tornare a casa per poi magari ripartire, oppure si resti sulla strada come unica condizione possibile di un’esistenza priva di radici (Jack Kerouac), il viaggio è una condizione genetica dell’essere umano, è una condizione stessa della vita.

Il viaggio è anche musica tout court. Per ascoltare un brano musicale ci si sposta, si seguono nello spazio le note, una dopo l’altra, proprio come se camminassimo lungo un sentiero. Come in tutti i viaggi anche questo immaginato da Joby Talbot passo dopo passo si allarga in meditazioni, in suggestioni evocative ed emotive. Tanto più che stiamo percorrendo il Cammino di Santiago (giovedì 12 settembre, Conservatorio, ore 21), un vero e proprio pellegrinaggio, che unisce interiorità e socializzazione, che è individuale e collettivo, esattamente come l’esperienza musicale.

Path of Miracles, composto nel 2005 su commissione dell’ensemble vocale Tenebrae, nei suoi quattro movimenti, significativamente intitolati Roncisvalle, Burgos, León e Santiago, è un viaggio nei molti sensi che la parola assume. Negli affetti, poiché è dedicato alla memoria del padre di Talbot, Vincent; nell’incontro tra le lingue, poiché il testo mescola greco, latino, spagnolo, basco, francese, inglese; nell’intrecciarsi delle culture, poiché quei testi – a cominciare dalle citazioni tratte dal Codex Calixtinus, nel quale si canta la gloria di San Giacomo Maggiore e sul quale si fonda la consolidata tradizione musicale compostellana – hanno diversa provenienza e si uniscono ai versi originali di Robert Dickinson.

Anche i riferimenti musicali attingono da culture diverse, nello spazio e nella storia. Nel primo movimento, ad esempio, Talbot utilizza il pasiputput, tecnica vocale nata tra i Bunun di Taiwan, che sfrutta variazioni continue di altezza e intensità nei suoni. Analogamente, le quattro tappe descrivono musicalmente quattro diverse situazioni. Dopo quella alleluiatica iniziale, nella seconda emergono le difficoltà che incontra il viandante nel percorrere il cammino. Poi eccoci all’interno della Cattedrale di León, momento di estatico stupore che prelude al finale. Giunti alla meta la gioia prevale ed esplode in tutta la sua potenza, lasciando anche intendere che il viaggio, se pur finito, in realtà non è che all’inizio.

Fabrizio Festa