Il Venerdì

Lisette Oropesa: Alfredo mi amerà in tv. Ma solo per questa volta

Lisette Oropesa durante le prove della "Traviata" al Teatro dell’Opera di Roma (Fabrizio Sansoni) 
Arriva il 9 aprile su Rai 3 la "Traviata" con la regia di Mario Martone. Protagonista la grande soprano americana: "Niente può eguagliare l'emozione del teatro"
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ROMA. È allegra, simpatica, ottimista. "Non ho avuto neanche il tempo di truccarmi, sono corsa qui dalle prove", dice affannata la soprano Lisette Oropesa, 37 anni, impegnata all'Opera di Roma con il tenore Saimir Pirgu e il baritono Roberto Frontali nella versione cinematografica della Traviata di Giuseppe Verdi, diretta da Daniele Gatti con la regia di Mario Martone che, dopo il successo del Barbiere di Siviglia, verrà trasmessa il 9 aprile in prima serata su Rai 3.

Non ha bisogno di bistri e belletti, è raggiante. La sua presenza e le risate generose illuminano la stanza dell'appartamento nel quartiere Esquilino che occupa con il marito Steven Harris. "Adoro questo Paese, mi sento a casa ogni volta che ho la fortuna di cantare in Italia. L'opera è qualcosa che avete nel sangue, per me è un onore far parte della famiglia" esordisce l'artista americana di origini cubane, cresciuta in Louisiana tra New Orleans e Baton Rouge, che recentemente ha ottenuto la cittadinanza spagnola ("È stato interpretato come un gesto antiamericano; non è così. Sono cittadina americana e spagnola. L'ho fatto per evitare lo stress dei visti di lavoro"). Per una frazione di secondo si rabbuia: "Che sta succedendo a Roma? Strade sconnesse, sampietrini divelti, le banchine del Tevere piene di fango. Non trovo un posto dove poter correre".

Già, perché Oropesa non è soltanto una diva della lirica, ma anche un'atleta con una rigorosa routine quotidiana e una passione per le maratone. "Normalmente durante la buona stagione mi alleno a Villa Borghese, tra il Colosseo e il Circo Massimo, oppure lungo il fiume" dice, ricordando le settimane trascorse nella capitale per quel Rigoletto di due anni fa al Costanzi, quando nessuno poteva immaginare che una pandemia stesse per paralizzare l'attività concertistica e il mondo dell'arte.

Lo scorso 7 dicembre, Oropesa è stata una delle star della serata-evento A riveder le stelle che ha aperto la stagione scaligera, dove ha cantato Regnava nel silenzio dalla Lucia di Lammermoor. Pochi minuti in scena in una sorta di varietà della lirica; magra consolazione per lei che, in assenza di Covid, sarebbe stata la protagonista della versione integrale dell'opera di Donizetti, ora rimandata a chissà quando. "Lo spettacolo di Livermore era un po' strano"  riflette. "All'inizio non ero neanche stata informata che la mia esibizione sarebbe stata ambientata su una spiaggia. Certo, la cancellazione della Lucia è stata dolorosa, ma cantare alla Scala è comunque un privilegio".

Ricorda il debutto di due anni fa nel prestigioso teatro, in I masnadieri di Verdi: "Che paura! I colleghi mi avevano parlato dei loggionisti, di recite finite in fischi. Avevo il terrore dei 'boooooo'. Ero nervosissima. Verdi scrisse il ruolo di Amalia pensando alla leggendaria soprano svedese Jenny Lind; nel secolo scorso è stato un cavallo di battaglia della grande Joan Sutherland... Il maestro Michele Mariotti mi ha aiutata a perfezionare la mia performance belcantista, un'esperienza speciale, anche grazie al regista David McVicar, che adoro. Qui a Roma ho scoperto il talento di Mario Martone, bravissimo, ha idee stupende. Dal momento che il Covid ci costringe allo streaming, azzardiamo cose che normalmente non possiamo fare in teatro".

Oropesa ha un rapporto particolare con la Violetta della Traviata: lo scorso luglio ha avuto uno straordinario successo personale a Madrid e a febbraio 2020 al Met di New York ha letteralmente travolto il pubblico. Il New York Times ha scritto: "La sua performance vale da sola il prezzo del biglietto". "È stata l'ultima cosa che ho fatto prima del lockdown, in scena con il baritono Luca Salsi e il tenore Piero Pretti, i miei amici italiani", ricorda. "Dovevano essere sei recite, ne abbiamo fatte solo quattro, poi siamo partiti immediatamente, non volevamo trascorrere il lockdown lontani da casa. Cinque, sei mesi di blackout. Poi La traviata a Madrid: il teatro ha rispettato il distanziamento sociale e siamo andati in scena. È stato un sogno, adoro Violetta".

Ha affrontato una marea di ruoli, canta in cinque lingue, è passata dal barocco al bel canto, "ma Violetta e Manon sono i personaggi che più mi assomigliano. Violetta è una donna riflessiva, pragmatica, almeno fino all'arrivo di Alfredo. Poi l'amore le stravolge l'esistenza, anche se non diventa mai coquette come Manon. A Violetta non piace quella vita, lo fa per necessità. C'è un po' di me in entrambe le donne. Sono un'edonista anch'io, amo la natura, l'amore, le cose belle. Ma amo anche lavorare, crescere professionalmente, impegnarmi nella carriera".

Come tutti nel mondo della lirica, ha fatto di necessità virtù accettando il compromesso dello streaming e l'ingombrante presenza delle telecamere. "È una cosa nuova. Registrare l'opera a pezzi, come stiamo facendo qui a Roma, è un'ulteriore sfida, perché finora avevo solo cantato opere in streaming dall'inizio alla fine. Si tratta di un'esperienza cinematografica vera e propria - si prova, si registra, e se non va bene si ripete". Lo sguardo diventa severo per una frazione di secondo: "Non vorrei mai che diventasse normalità. Questa non è l'opera. È vero che vogliamo arrivare al grande pubblico, ma non possiamo pensare di replicare in tv, con microfoni e cuffie e uno schermo piatto, l'emozione di una serata a teatro".

Lisette Oropesa fa parte di quella generazione di artisti cresciuta con registi che hanno letteralmente rivoluzionato l'opera; ai cantanti si richiedono ormai capacità attoriali e complicati movimenti scenici. "Sono sempre stata consapevole del doppio ruolo che andavo ad affrontare" conferma. "Ho esordito nel momento in cui Peter Gelb prendeva il posto di Joseph Volpe alla guida del Met. Gelb ha rivoluzionato il sistema opera: registi audaci, allestimenti ambiziosi, progetti cinematografici e televisivi. Prima neanche potevo immaginare che a qualcuno venisse in mente di ambientare Bohème nello spazio (come ha fatto il regista Claus Guth, ndr). Ho scoperto e imparato. Non solo a cantare ma anche a recitare, a usare il corpo e l'espressione del viso. Con la mia maestra Renata Scotto ho lavorato parecchio sui primi ruoli verdiani: Gilda nel Rigoletto, Nannetta nel Falstaff e Violetta nella Traviata. Mi ha insegnato a concentrarmi sulle emozioni, sull'intenzione e sul ritmo, le caratteristiche tipiche del bel canto".

 

Ci prendiamo una pausa dalla lirica per parlare di musica cubana, della geniale operazione Buena Vista Social Club, negli anni 90, della frenesia jazz di New Orleans, della sua famiglia canterina e dell'amore per il pop. "La musica cubana è più vicina alla classica di quanto si creda", spiega, "abbiamo una gloriosa tradizione di zarzuela. I miei nonni hanno ancora molti dischi, che io ascoltavo da piccola. Mia madre ha studiato musica, e forse perché è una cantante bravissima avevo una certa timidezza con la voce. Il mio amore era il flauto. Sognavo di suonare in orchestra. Poi al conservatorio, proprio su insistenza della mamma, feci un'audizione anche come soprano. Lì cambiarono le mie prospettive e le mie aspettative. I miei idoli? Nel pop, Mariah Carey, che con la voce può fare tutto, in casa la imitavo continuamente, ero un'urlatrice. Nell'opera, Maria Callas, Montserrat Caballé, Anna Moffo e Renata Scotto".

 

Le hanno cambiato la vita la vincita della borsa di studio per partecipare al Lindemann Young Artist Development Program del Met, a New York, e la decisione di perdere peso (oltre 40 chili) e mantenere una preparazione atletica in vista dei futuri impegni teatrali: "Le due discipline si assomigliano, hanno in comune il fiato; quando fai una maratona, sei costantemente concentrato sul respiro, lo stesso quando affronti un'opera. La maratona, come il canto, richiede concentrazione e resistenza; devi trovare dentro di te la forza per arrivare alla fine".

 

Seguirla su Instagram è uno spasso, soprattutto quando si diverte con la collega angloaustraliana Jessica Pratt, brillante e scanzonata come lei. "Tutto merito di Steven", giura. "È lui che cura il mio rapporto con i social, prima che ci sposassimo non sapevo niente di tecnologia". Avevano avuto un flirt da adolescenti, poi, complice Facebook, si sono ritrovati e innamorati di nuovo. "Spesso lo scambiano per un attore di Hollywood", dice, sorridendo maliziosa al marito che la segue ovunque. Per una frazione di secondo diventa gelosa: "Qualche volta mi vien da dire: 'Signore, per favore, è un uomo sposato!'".

 

Sul Venerdì del 12 febbraio 2021