Sollima si fa in quattro, violoncelli

Nell’abbazia del XI secolo titolata a San Gallo a Moggio Udinese in Friuli Venezia Giulia, luogo dove la trasmissione e lo studio di codici musicali per diversi secoli è stato un fiore all’occhiello, la presenza di Giovanni Sollima in concerto si è configurata come la serata giusta, nel posto giusto, con la persona giusta. Lui, amante dell’antico, curioso investigatore delle tradizioni musicali d’Europa e del mondo, ancestrale esploratore di melodie, melopee e melismi nelle rese inimitabili delle sue interpretazioni e scritture, non poteva non trarne fascino e giovamento da tale luogo dove ancora sembra di sentire vibrare le voci all’unisono dei monaci in preghiera sui temi gregoriani.

Di più. Sollima, esploratore degli strumenti musicali ed in particolare – per ovvia natura – di quelli ad arco, sperimentatore di manufatti i più insoliti, come il violoncello di ghiaccio e altri di sua invenzione, non ha mancato nemmeno d’improvvisare su strumenti non suoi, ma del liutaio moggese Mario Tolazzi che per l’occasione ha inaugurato una mostra che è parte del progetto “La musica del legno”, appuntamento collaterale del festival Carniarmonie.

«Mi affascina questo strumento, davvero particolare e fatto molto bene, ho voluto aprire con lui questa serata», mi rivela a fine concerto. Si tratta della bunkula, strumento proprio della tradizione musicale resiana, un unicum su cui hanno scritto e studiato etnomusicologi ed antropologi come Ella Adaïewsky nel corso dell’Ottocento, nel Novecento Roberto Leydi ed è ancora materia, in parte inesplorata, di grande interesse. Su questo arco, tra il violoncello e il contrabbasso, a tre corde, suonato con un archetto di fattura barocca, Sollima ha eseguito una sua improvvisazione ed è come se da quel legno locale uscisse la voce di un intero patrimonio d’alpe e d’oltralpe, nelle trasmissioni di un sentire empatico che il grande, e umile, violoncellista palermitano ha condiviso con il pubblico rapito. «Uno strumento fantastico. Ho in programma già da tempo di fare un bel giro nelle parti nascoste d’Italia alla scoperta di eredità sonore. Sono un grande collezionista di canti, di musica popolare, e questo segmento mancava nel mio percorso».

Poi è stata la volta del suo Ruggeri del 1679, un miracolo di liuteria cremonese con cui ha eseguito la “Suite per violoncello solo n. 5 in do minore” di Bach: «il più mistico di tutti». Nella tara della sua inimitabile maniera, Giovanni Sollima lo ha fatto rivivere, riportandoci a quel tempo, nella qualità di quel “suo” suono, talvolta graffiante, talaltra sibillino, tanto libero nel gioco di armonici da non avere eguali, come le emozioni che ha regalato.

Sollima

«Per l’altra Suite in programma ho suonato questa meravigliosa copia di Amati realizzata da Nicola Segatta, questo violoncello piccolo a cinque corde col mi più alto. L’ho usato proprio perché Bach prescriveva questo strumento per la “Suite n. 6 in re maggiore”. Molto utilizzato al tempo, lo strumento è caduto in disuso nel corso dell’Ottocento, per cui ho pensato che fosse arrivato il momento di riproporlo e di farlo conoscere in particolare al grande pubblico».

Il quarto violoncello che ha suonato è un altro della collezione di Mario Tolazzi, in un gioco di alternanze tra i suoi gioielli e quelli del liutaio moggesse nell’esecuzione di numeri scelti dalla sua antologia “Natural songbooks”, con una evasione a Stravinsky nella rilettura per violoncello dei “Tre pezzi per clarinetto solo”. E il bis, dal suo repertorio, eseguito con una matita!

Quattro violoncelli e altrettanti archetti, tra cui quello da lui elaborato con una piccola maracas in punta, con il quale ha offerto una sua rilettura dal patrimonio siculo. Palpabile la sua voglia di suonare, nuovamente a contatto con le persone, stregate e beate della sua musica, in quel magnifico antro di saperi musicali che è l’antica abbazia di San Gallo. «Felicemente, ho ricominciato a giugno a fare concerti con un certo ritmo. È doveroso che la musica si faccia dal vivo. Netflix e cose simili devono esistere per spalleggiare, non per sostituire la musica dal vivo».

Alessio Screm

Articoli correlati