ITsART, it's flop. La “Netflix della cultura italiana” perde 7,5 milioni di euro

Luciano Capone

ITsART, la piaffaforma ideata da Franceschini per far vedere l'offerta culturale italiana nel mondo, ha grosse perdite e incassi bassissimi: 240 mila euro (0,7 € l'anno per utente). La riserva messa da Cdp è finita e servono altri soldi. Very male

Quando il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini lanciò l’idea della “Netflix della cultura italiana” si era intuito che a prevalere sarebbe stata l’impostazione Mibact e che quindi Netflix non avrebbe avuto nulla da temere, a differenza dei contribuenti. La diffidenza probabilmente derivava dalle precedenti intuizioni di Franceschini come “Verybello.it”, il portale che avrebbe dovuto rilanciare l’Italia nel mercato del turismo internazionale, e che finì very male. I sospetti che il progetto non fosse solidissimo sono stati poi confermati dall’avvicendarsi di tre amministratori delegati in un anno. Ora però tutto questo scetticismo è certificato dal bilancio 2021: ITsArt, questo il nome della Netflix italiana controllata da Cdp e Chili, nel primo anno ha perso quasi 7,5 milioni di euro (7.447.411 euro, per la precisione). Che vuol dire aver prosciugato quasi tutta la riserva di 9,8 milioni di euro, finanziata dal decreto “Rilancio” e versata da Cdp a seguito di una convenzione con il Mibact.

 

L’idea di Franceschini, dopo il Covid e i lockdown che hanno messo in crisi il settore della Cultura, era quella di creare “una piattaforma digitale pubblica, a pagamento, la quale possa offrire a tutta Italia e tutto il mondo l’offerta culturale del nostro paese”. Si trattava, insomma, di “proiettare nel futuro” lo spettacolo italiano rendendo disponibili tutti i contenuti (musica, teatro, danza e arti circensi) a tutto il mondo. Alla fine la società, chiamata ITsArt, è nata da una partnership tra Cdp al 51% e Chili al 49%, in cui il pubblico ha versato i soldi e il socio privato ha messo principalmente la piattaforma tecnologica. Come dicevamo, però, i risultati sono impietosi. Non tanto per i costi di produzione, che sono pari a 7,7 milioni di euro, spesi principalmente per servizi (5 milioni), beni (1 milione) e costo del personale (900 mila euro). Ma soprattutto per i ricavi, tremendamente bassi: appena 245 mila euro.

 

Tra l’altro i bassi incassi di ITsArt sono in un certo senso anche sovrastimati. Perché i 245 mila euro di ricavi messi a bilancio si compongono di 140 mila euro di “ricavi diretti al consumatore (B2C) per la distribuzione dei contenuti audiovisivi in streaming” e 105 mila euro di “ricavi verso controparti business in modalità di ‘barter transaction’”. Si tratta, in sostanza, di un baratto con altre aziende: la cessione di voucher in cambio di servizi, che comporta entrate e uscite di pari importo. Ciò vuol dire che i biglietti realmente venduti ammontano a 140 mila euro in otto mesi (la piattaforma è partita a maggio 2021). Siccome nel bilancio ITsArt dichiara di avere “200 mila utenti italiani ed europei”, significa che in media ogni utente ha speso 70 centesimi in tutto il 2021 (in un altro punto si dice che gli utenti sono 146 mila, in tal caso i ricavi pro capite sarebbero 95 centesimi).

 

La società dice di poter andare avanti, “il presidente sottolinea come tale perdita (7,5 milioni, ndr) appaia compatibile con la fase di start-up che ha caratterizzato il primo anno di esercizio”. E d’altronde anche Jeff Bezos con la sua Amazon è partito macinando perdite per anni. E così ITsArt punta sull’aumento della “customer base” grazie a pubblicità e marketing. Ma c’è nell’aria un po’ di pessimismo quando si segnala che le previsioni di crescita “dipendono dalla capacità della società di reperire risorse finanziarie che consentano di attuare gli investimenti previsti dal piano”, nonché dall’“intrinseca incertezza” del mercato e dalla “pressione competitiva” dei grandi player. Cioè Netflix, quella americana.

 

Insomma, il piano industriale 2022-2026 può avere successo solo se si riescono a trovare altre risorse finanziarie, visto che quelle messe da governo e Cdp sono già quasi finite. Ma con questi conti – 140 mila euro di ricavi e 7,5 milioni di perdite – è difficile trovare investitori o finanziatori sul mercato. La cosa più probabile è che sia il governo, attraverso lo startupper Franceschini, a mettere altri soldi. Ma così la “Netflix della cultura italiana” rischia di essere very costosa.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali