Un Rosenkavalier italiano

Un Rosenkavalier italiano

L’esplorazione di Riccardo Chailly delle opere di Giacomo Puccini prosegue con la sua opera dal fascino più particolare, La rondine, gustosissima commedia che fonde tra loro tanti stili

chailly

Nel centenario pucciniano e a trent’anni precisi dall’ultima ripresa scaligera, con Gavazzeni sul podio, La rondine di Puccini torna sul palco del Piermarini, fortemente voluta da Riccardo Chailly, la cui passione per Puccini è ben nota. La vicenda esterna della Rondine forse ha contribuito a condizionarne la ricezione. Il fatto che la commissione venisse da un teatro viennese di operette e dal suo editore lasciò su questo titolo lo stigma fuorviante dell’operetta, a dispetto dello stesso Puccini, che fin da principio assicurò che non avrebbe affatto scritto un’operetta. Pensava piuttosto al modello del Cavaliere della rosa di Richard Strauss, “ma più divertente e organico”; e non gli bastava rifugiarsi nella danza, in cui le operette tendevano a risolversi, ma voleva anche “studio di carattere” e naturalmente «originalità [e] interesse». Il risultato, come dice Riccardo Chailly, fu “un Rosenkavalier italiano”, tutto pervaso ˗ come quello ˗ dal valzer, ma con ammicchi ad altre danze di sapore moderno e americano, e giocato su un quartetto di personaggi diversissimi per vocalità e temperamento, veri cantanti-attori.

 

EF Puccini torna sempre più volte sulle sue partiture: il caso estremo è quello di Edgar, ma anche gli altri lavori comportano ritocchi di strumentazione, aggiunte, limature, ripensamenti. Questo dipende, certo, dal fatto che il teatro musicale è sempre un cantiere aperto con infinite variabili, ma è anche sintomatico della modernità di Puccini, che come Mahler, come Berg, non smette di interrogarsi sui dettagli.

RC La presenza di versioni differenti è un grande stimolo per l’esecutore, costringe a riflettere, a scegliere; ma regala anche continue scoperte. Alla Scala abbiamo la fortuna di disporre dell’edizione critica uscita nel 1923 a cura di Ditlev Rindom; quando Ricordi ha ottenuto di poter consultare l’archivio di Torre del Lago si è scoperta l’esistenza di un autografo anteriore alla prima rappresentazione assoluta, quella del 1917 a Montecarlo. È un ritrovamento preziosissimo, perché si era sempre pensato che l’autografo consegnato a Sonzogno per la pubblicazione, e andato distrutto nella Seconda guerra mondiale, fosse l’unico esistente. Invece adesso disponiamo di questa versione che ci mostra La rondine così come Puccini l’aveva concepita; non solo ci sono 87 battute non riportate in nessun’altra edizione a stampa, ma si scoprono dettagli importanti nella strumentazione: per esempio qui la presenza di timpani e percussioni è molto sfoltita e i tromboni acquistano rilievo autonomo soltanto nel terzo atto, quello in cui scoppia il dramma; Puccini lega il loro timbro tragico a una precisa strategia drammaturgica. Tutti elementi, fra l’altro, che fanno capire la bellezza di questo terzo atto, in genere sottovalutato dalla critica e giudicato meno riuscito; mentre è pieno di particolari all’altezza delle innovazioni di Madama Butterfly e La fanciulla del West.

 

EF Si può dire che Puccini nella Rondine faccia i conti con il suo passato e al tempo stesso dia il meglio in termini di mobilità interna, con quel dinamismo che ci ha insegnato a conoscere fin dal primo atto di Manon Lescaut?

RC Certamente, qui il dinamismo si incarna anche nelle danze; il valzer trionfa con ben dodici apparizioni nell’arco dell’opera; e quando riappare nel secondo atto, accompagnato da un colpo di piatti che lo fanno letteralmente esplodere, si sente proprio l’omaggio aperto tanto al Rosenkavalier quanto alla Fledermaus, ai due Strauss, insomma; tanto più che nella versione “ante-Montecarlo” che usiamo alla Scala questa ripresa fiammeggiante del valzer si accompagna anche alla ripresa del coro. Ma ci sono anche altre quattro danze: il quick step (su cui si apre l’opera, adrenalina pura!), il tango (legato a Prunier), la polka e lo slow fox; non messe lì come inserti chiusi, ma prese in mezzo al discorso, non dichiarate.

 

EF Non dev’essere facile assecondare questa continua elasticità interna...

RC La capacità di integrare in un flusso ininterrotto ritmi e tratti diversi fa parte della grandezza di Puccini, dei suoi caratteri salienti. Certo, il continuo trasformarsi, lo scivolare di un particolare nell’altro, di un ritmo nell’altro richiede una concertazione molto duttile, di grande flessibilità. Era quello che aveva saputo fare subito Gino Marinuzzi a Montecarlo; Puccini aveva sempre rimpianto la freschezza, la trasparenza con cui aveva saputo rendere la prima monegasca. Marinuzzi poi la diresse anche alla Scala, ma ben ventitré anni dopo, nel 1940. I direttori si sono subito resi conto del valore straordinario di questa partitura; fu De Sabata (nel 1919 anche lui l’aveva diretta a Montecarlo) a dire che “la più elegante e raffinata partitura di Puccini è quella della Rondine”.

 

EF Nella Rondine si colgono spunti che riportano, oltre che al Rosenkavalier e alla Fledermaus, anche alla Traviata, a Giordano, a Massenet, una scrittura sopra la scrittura...

RC Anche questa capacità allusiva è un tratto modernissimo; innanzitutto ci rivela quanto Puccini fosse aggiornato, come conoscesse quel che avveniva fuori dall’Italia; l’ammicco scherzoso e persino ovvio a Salome verso la fine del primo atto ci ricorda anche che era andato fino a Graz per sentirla, con Mahler, con Zemlinski. Sono citazioni isolate che non hanno niente del plagio, perché Puccini resta sempre se stesso. Anzi, nella Rondine sono gustosissime anche le autocitazioni; a parte la forza drammatica di alcuni passaggi nel terzo atto, dove sento in modo particolare La fanciulla del West e Madama Butterfly, nella chiusa del secondo atto fa capolino Gianni Schicchi; è il punto in cui il tenore si allontana accompagnato dall’ottavino, e di sotto si sente borbottare un fagotto sornione, che pare Buoso Donati! E poi andrebbe fatto un discorso a parte sull’originalità delle armonie: nel primo atto della Rondine c’è persino un passo in cui si sovrappongono tutti e 12 i suoni della scala cromatica, con cui Puccini ci proietta nella politonalità, nel mondo di Stravinskij. Era stato Enzo Siciliano a notare come la Rondine fosse la prova tangibile della conoscenza che Puccini aveva delle Valses nobles et sentimentales di Ravel, che erano del 1911; proprio la raffinatezza con cui orchestra i valzer della Rondine è un punto di contatto con il mondo di Ravel.

 

EF I personaggi sono inscritti nell’ambiente, ma mi pare che abbiano connotazioni anche molto personali.

RC Personalissime! E non solo Magda e Ruggero; anche Lisetta, che richiede una dizione di eccezionale chiarezza e un senso ritmico davvero stravinskiano. Siamo fortunati ad avere un’interprete (Rosalia Cid) che possiede queste doti in modo spiccato, valorizza l’impronta novecentesca di questo personaggio che pare uscito da Mavra! E poi c’è il continuo bisticcio con Prunier, anche lui tenore, ma così diverso rispetto a Ruggero; il bisticcio comporta ondate di parole, una quantità incredibile di parole che Lisette canta a una velocità impressionante. Puccini è attento non solo a come tratta le tessiture, ma a come caratterizza l’andamento dei singoli personaggi; così Prunier è molto più “agitato” rispetto a Ruggero, che è più lirico. La rondine ha proprio bisogno di questi quattro personaggi con identità vocali differenti, dal punto di vista non solo timbrico, ma anche caratteriale; anzi, anche Rambaldo, che pure ha meno parte, è un personaggio con tratti ben definiti e personali.

 

EF Modernissimo è anche il trattamento delle voci, questo “stile di conversazione” che sa essere aderente al flusso del parlato senza rinunciare alla curvatura melodica: porta avanti un discorso avanzato nella Fanciulla del West e che poi in sostanza resterà senza eredi capaci di svolgerlo a questa altezza di equilibri interni e duttilità.

RC Certo, questo si vede bene anche nel terzo atto della Rondine, dove ci sono due duetti importantissimi di Magda e Ruggero; qui c’è un vero dialogo, aperto, in divenire, ma senza mai sacrificare la caratterizzazione melodica del canto. E anche il sostrato armonico riesce a riflettersi sulle voci senza pregiudicarne la cantabilità; qui nella Rondine c’è un bell’esempio nella scena del paravento, con quelle quarte e quinte parallele che sanno già molto di Turandot e che scorrono in parallelo al canto, senza comprometterlo, senza metterlo in ombra.

 

EF Che parte ha il trattamento dell’orchestra nell’assecondare la fluidità dei dialoghi e degli insiemi?

RC Senza dubbio è fondamentale; non è facile dare i pesi giusti. Quando il canto viene raddoppiato in orchestra bisogna dosare la dinamica sinfonica a vantaggio del peso vocale; era proprio stato questo il problema dell’esecuzione bolognese della Rondine di cui Puccini era rimasto insoddisfatto. Anche in questo ci vuole flessibilità; è un aspetto insidioso della scrittura di Puccini, ma anche un aspetto affascinante, che va sempre ricalibrato e soppesato. C’è poi anche una componente di ricerca timbrica che in Puccini ha sempre molto rilievo. Puccini cerca il timbro inedito; ricordo sempre che nella prima versione di Madama Butterfly, che io ho eseguito alla Scala qualche anno fa come inaugurazione, inserisce un cimbalom, strumento del folclore ungherese che aveva scoperto per caso a Budapest e che poi in seguito toglie. Nella chiusa del secondo atto della Rondine (dove fra l’altro usa moltissimo la combinazione arpa-celesta-Glockenspiel) vuole un carillon basso che di fatto non esiste, ma con cui voleva trovare un’identità timbrica diversa per raddoppiare celesta e Glockenspiel; ci lavorerò con i professori dell’Orchestra che mi aiuteranno a individuare, nella possibile palette timbrica disponibile, la sfumatura che possa rispondere meglio a questa suggestione. Un altro aspetto di modernità della prima versione è nella presenza del pianoforte; Puccini inizialmente non prevede che accompagni soltanto la romanza di Prunier e la replica di Magda, ma lo fa proseguire anche dopo; e l’inserimento del pianoforte in orchestra è molto novecentesco.

 

EF Puccini ama le scene collettive, ma nel secondo atto della Rondine ho l’impressione che superi se stesso, andando ancora oltre il quadro del Quartiere Latino nella Bohème.

RC Qui mi sembra che ci siano tre elementi di interesse che si sovrappongono: da una parte il grande valzer viennese, chiamiamolo così, con dei rimandi in cui io vedo in filigrana il Rosenkavalier in modo particolare; ma a un certo momento all’onda del valzer subentra lo slow fox (“Perché mai cercate?”), che ci trasporta nel mondo armonico-melodico di Richard Rodgers, al musical di Broadway; e qui è evidente che Puccini in quegli anni seguiva anche queste nuove correnti, specialmente dopo i soggiorni statunitensi per la Fanciulla del West. E dopo questo omaggio al repertorio di Broadway, ecco che arriva il commento finale del fagotto, che ha la sua matrice in Gianni Schicchi! Puccini riesce a passare attraverso questi tre mondi tanto diversi in così breve spazio, e però li lega tutti insieme in maniera naturalissima, non sentiamo cesure. Era un maestro nel trasformare le idee e farle scivolare l’una nell’altra. Si vede ancora all’inizio del terzo atto, che si apre con quel tema “del filtro” già sentito prima, ma che qui si modifica come in un ricordo: anzi, al suo ritmo di valzer si sovrappone adesso un’emiolia barocca, artificio ritmico che produce una variante carica di senso.

 

EF Quindi la scrittura raffinata e l’eleganza di Puccini non si smentiscono neanche nella Rondine?

RC Senza dubbio! La struttura è complessa, studiata nei minimi dettagli, ma all’ascolto suona estremamente naturale; tutto è superato dalla fluidità del canto, della melodia e dell’orchestrazione. Ma la forza delle individuazioni, la fluidità dei dialoghi, la modernità dei tratti danno un fascino tutto particolare a questa singolare commedia che gioca col passato e col presente, e fonde tra loro tanti stili senza per questo perdere di vista la sua organicità.

Elisabetta Fava
Ordinaria di Storia della musica all’Università di Torino,
è studiosa di
Lied e di teatro musicale tedesco.
Collabora regolarmente con l’Ufficio Edizioni del Teatro alla Scala