Rai NuovaMusica con Robert Treviño e Alessandro Taverna: le note di sala di Daniele Spini

Rai NuovaMusica con Robert Treviño e Alessandro Taverna: le note di sala di Daniele Spini

Mercoledì 24 aprile Auditorium Rai di Torino

Rai NuovaMusica con Robert Treviño e Alessandro Taverna: le note di sala di Daniele Spini
Esa-Pekka Salonen (1958)
Helix per orchestra (2005)

Contemporaneamente a una carriera di direttore d’orchestra eccezionalmente precoce e fortunata, che l’ha portato a divenire direttore principale dell’Orchestra della Radio Svedese a ventisei anni, per passare poi alla testa di altri fra i complessi più importanti del mondo, dalla Los Angeles Philharmonic alla Philharmonia di Londra e adesso alla San Francisco Symphony Orchestra, il finlandese Esa-Pekka Salonen ha proseguito un’attività di compositore perfezionata in gioventù con maestri come Franco Donatoni, Niccolò Castiglioni e Einojuhani Rautavaarara. Una produzione ampia e importante, prevalentemente strumentale e con grande attenzione alla musica sinfonica, che gli è valsa riconoscimenti lusinghieri come la nomina a compositore in residenza per la stagione 2022- 2023 da parte dei Berliner Philharmoniker.

Commissionato dalla BBC ed eseguito per la prima volta da Valery Gergiev e dagli strumentisti di decine di nazioni raccolti nella World Orchestra for Peace il 27 agosto 2005 alla Royal Albert Hall di Londra nel ciclo dei Proms, Helix impiega un grande organico in una specie di riflessione estremamente concentrata e incisiva sul tema del tempo. Il suo significato, scrive Salonen
è fondamentalmente quello di un accelerando in nove minuti. Il tempo diventa via via più veloce, ma il valore delle note delle frasi si allunga proporzionalmente. Quindi ciò che cambia è soltanto la relazione del materiale con l’impulso, non necessariamente l’impressione della velocità in se stessa. Da qui la metafora della spirale: il materiale (che consiste essenzialmente di due frasi distinte) è sospinto in cerchi concentrici sempre più stretti,  finché la musica raggiunge un punto nel quale deve fermarsi poiché non ha più una meta alla quale dirigersi

Carlo Boccadoro (1963)
Concerto per pianoforte e orchestra 
Alla memoria di Edward “Duke” Ellington (2016)

Protagonista attivissimo della vita musicale italiana, Carlo Boccadoro è pianista, direttore d’orchestra, musicologo e organizzatore - animatore fra l’altro dell’ensemble Sentieri selvaggi impegnato nell’esecuzione di musica contemporanea - ma soprattutto compositore. Ha al suo attivo un catalogo imponente, e le sue musiche sono eseguite frequentemente nelle stagioni più importanti; Tale il caso anche del Concerto per pianoforte, per il quale Boccadoro ha scritto questa nota:

“Il Concerto per Pianoforte e Orchestra, dedicato alla memoria di Duke Ellington, è stato composto nel 2016 su commissione di Francesco Micheli ed eseguito per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 30 gennaio 2017, con Beatrice Rana solista e l'Orchestra Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Chailly.
Come si può intuire dalla dedica, il lavoro riflette il mio grande amore per il jazz ma non cerca nella maniera più assoluta di imitarne lo stile. 
Niente scorciatoie facili in stile pastiche o reminiscenze nostalgiche.
Il linguaggio è completamente astratto e privo di compromessi, la scrittura è spesso violenta e drammatica: non c'è un vero e proprio dialogo tra il solista e l'orchestra, piuttosto un conflitto permanente, una lotta senza esclusione di colpi tra la grande massa orchestrale e una scrittura pianistica dal virtuosismo estremo, talvolta parossistico, che impegna allo spasimo il pianoforte solista (in una delle sue ultime interviste Maurizio Pollini ha detto di aver ascoltato alla radio questo “difficile” Concerto, il che la dice lunga sulle risorse che il solista deve impegnare per poterlo affrontare)
Dal jazz ho preso le tecniche esecutive pianistiche, soprattutto nel primo movimento che utilizza grandi salti in stile stride piano e note ribattute lungo tutta la tastiera proprio come i grandissimi jazzisti degli anni '20 (lo stesso Ellington, James P. Johnson, Meade Lux Lewis), con ampie scorribande sincopate lungo tutta l'estensione dello strumento, come facevano illustri musicisti quali Art Tatum e Fats Waller. Ci sono anche numerosi passaggi in cui il pianoforte e l'orchestra si alternano con la tecnica medievale dell' Hoquetus creando incastri ritmici decisamente complessi. 
Il secondo tempo è un omaggio dichiarato, dal punto di vista della forma, al Secondo Concerto di Béla Bartók con un rapido movimento ipervirtuosistico (che vede uno scambio continuo tra il pianoforte e lo xilofono) racchiuso tra due movimenti lenti, sempre attraversati da una nervosa tensione anche nei momenti apparentemente più tranquilli.
Il Finale è senz'altro il movimento meno impegnativo per l'ascoltatore, ma non certo per gli esecutori. Il pianoforte suona molto spesso con la tecnica dei block chords paralleli che rimandano al pianismo di Thelonious Monk e l'orchestra rende esplicito omaggio allo stile Jungle dei dischi di Ellington degli anni '30, in particolare nell'uso dei clarinetti e degli ottoni con sordina”.


John Adams (1947)
City Noir per orchestra (2009)

Un po’ più giovane rispetto a La Monte Young, Steve Reich o Philip Glass, padri riconosciuti del minimalismo, John Adams si è differenziato dai suoi predecessori: sia sul piano stilistico, che lo vede impiegare la ripetizione di cellule ridotte appunto al minimo, dando vita però a costruzioni ampie e solide, sia per l’aggancio esplicito a temi politici, sociali o comunque di attualità, nella sua produzione operistica, aperta clamorosamente nel 1987 con Nixon in China, come negli aspetti descrittivi dei lavori puramente strumentali. La figura di Adams si colloca quindi in una posizione di rilievo e del tutto originale nel quadro di un’avanguardia musicale statunitense che fin dalle esperienze di John Cage e di Morton Feldman si è opposta al serialismo e alla tensione costruttiva dei compositori europei della Nuova Musica, eredi nell’immediato dopoguerra della modernità estrema ma direttamente discendente da una tradizione di secoli di Anton Webern.
Eseguito per la prima volta l’8 ottobre 2009 da Gustavo Dudamel e dalla Los Angeles Philharmonic Orchestra, City Noir è stato ispirato a John Adams dalla lettura dei libri di Kevin Starr sulla California del Novecento e sui “sogni” americani.
Il riferimento specifico è al capitolo Black Dahlia di Embattled dreams, che tratta di un delitto efferato avvenuto a Los Angeles nel 1947: l’assassinio e squartamento di Beth Short, una ragazza soprannominata Dalia nera per l’abitudine di ornare i capelli, appunto neri, con una dalia, suggeritale dalla lettura di un noir di Raymond Chandler, The blue Dahlia
La vicenda fu narrata poi in un romanzo di James Ellroy e in un film di Brian De Palma intitolati pure The Black Dahlia. “Starr racconta il clima dei tardi anni Quaranta e dei primi Cinquanta come era espresso nel giornalismo sensazionalista di quel tempo e nel cupo, inquietante bianco e nero dei film di Hollywood che ci hanno descritto lo spirito di quel periodo”, spiega Adams, che prosegue citando Starr: “il lato nascosto della Los Angeles del periodo del ‘fronte interno’ e del dopoguerra era stato svelato. Tuttavia, per quanto scadente la Città degli Angeli possedeva una sua sfacciata e scaltra energia. Era, fra tante altre cose, una specie di città da prima pagina nella quale la vita era vissuta da molti sul filo del rasoio, e si prestava a farci una buona storia e un buon film noir”.

Da qui il desiderio di comporre un pezzo per orchestra, quasi una sinfonia in tre tempi, che senza citare le colonne sonore dei film noir evocasse in qualche modo il senso di quell’epoca, e i “sogni in difficoltà” descritti da Starr.
Sono stato anche stimolato dalla consapevolezza che davvero esiste un genere vero e proprio di musica sinfonica declinata in termini jazz, uno stile orchestrale e una tradizione che risalgono fino ai primi anni Venti del Novecento (anche se per dir la verità il primo a realizzarne il potenziale è stato un francese, Darius Milhaud, con il suo balletto La création du monde del 1923, un anno prima che fosse eseguita a New York la Rhapsody in blue di Gershwin)
Nei tre movimenti di questo Noir della città, o Noir sulla città, quasi un film in musica, “concentrazioni di massima energia” - son sempre parole di Adams -  sono incastonate fra “aree di più disteso - potremmo addirittura dire ‘cinematografico’ - lirismo”. Proseguendo l’incastro di giochi di parole e citazioni che caratterizza City Noir il titolo del primo è una parafrasi di quello di Il teatro e il suo doppio, la celebre raccolta di saggi sul teatro di Antonin Artaud: ispirandosi al contrasto fra valore letterario dell’opera teatrale e esperienza sensoriale dello spettatore, Adams immagina la sua “città” come “fonte inesauribile di esperienze sensuali” più che come “luogo geografico o agglomerato sociale”. Da qui un percorso segnato da contrasti bruschi fra episodi che potrebbero essere paragonati a sequenze cinematografiche, che trapassa senza interruzione all”Improvvisamente più lento” di The song is for you, una serie di momenti solistici, fra i quali spicca quello affidato al trombone, “un solo ‘parlante’, nello stile dei grandi solisti di Ellington, Lawence Brown e Britt Woodman (entrambi, abbastanza opportunamente, angelenos)”. Nelle intenzioni di Adams, la musica di Notte sul boulevard “dovrebbe avere l’effetto vagamente disorientante di un boulevard molto affollato, popolato di personaggi bizzarri, come quelli di un film di David Lynch, del genere che può manifestarsi molto tardi in una notte molto calda”.